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Riportando tutto a casa è il titolo di un album dei Modena City Ramblers, lo prendo a prestito per questo post perché si avvicina il momento di rientrare nella mia Terra per un breve tempo, salutare le mie radici, onorare il padre e la madre e stringere i nodi dell’amicizia con chi è cresciuto con me.
Sono tanti i pensieri che la strada evoca mentre guidi per migliaia di km e vedi un mondo scorrere fuori dalla visiera del casco mentre un altro ti scorre dentro. I ritorni sono tempo di bilancio, si mettono le nuove esperienza alla pesa per capire con che carico procede la vita.
Gli ultimi mesi sono stati densi, abbiamo accompagnato greenpeace in un battaglia per salvare un paradiso terrestre situato nel parco naturale e marino di Cabo pulmo. Con piacere le mie immagini sono state mandate in televisione ed hanno contribuito insieme agli ingenti sforzi di molti attivisti ad ottenere una dichiarazione di annullamento del progetto di cementificazione che avrebbe affettato questo stupendo paesaggio incontaminato. Poi siamo andati a nord attraversando 1700 km di deserti e, raggiunta Ensenada, abbiamo fotografato un parco naturale di rara bellezza e fattezze quasi alpine. Senza quasi crederlo siamo stati bloccati da quasi un metro di neve, nel mio immaginario la bassa california sarebbe ancora stata una distesa di sabbia e cactus se non fosse arrivata questa tempesta di neve a detonare una natura avida d’acqua. Dopo giorni bloccati abbiamo conosciuto la croce rossa statale che è intervenuta con un mezzo cingolato per trascinare i veicoli bloccati nella neve. Dopo aver visto un lavoro per la croce rossa di Taxco, in un altra località, ci hanno invitato ad una collaborazione a Tijuana. Tijuana l’avrei evitata memore della violenza dilagante del 2008.. quando di notte confondevo i rumori degli spari con petardi di qualche festa patronale. Eppure è stata tranquilla la tijuana del 2012, come piacevole è stata la conoscenza con questo organizzatissimo e sgangherato gruppo di intervento della croce rossa. Mentre Tijuana è stata clemente, la paciosa Ensenada, in un pomeriggio da dimenticare ci ha fatto vivere l’incubo di un omicidio nella stanza di motel accanto a dove stavamo alloggiando. E vedersi due sicari che ti passano accanto con la mano sulla pistola non è raccomandabile, ma per fortuna rimane raccontabile.
Dall’estremo nord siamo tornati a sud, con il calore spossante dei quasi 40 gradi che fa picchiare in testa i cilindri e sudare liquidi che dovrebbero starsene sottopelle ad idratare. Bello fermarsi, senza sapere, in posti reconditi, lasciare i bagagli e guidare in ciabatte a 20 allora esplorando stradine costiere, anfratti di Oceano arrabbiato che sbatte sugli scogli, prendere una birra al tramonto prima di scappare dalle zanzare sotto le spinte della brezza di terra che porta frescura. Bello visitare le Salinas, mari di cristallo da dove si estraggono milioni di tonnellate di sale all’anno. Salire sulle enormi ruspe caterpillar che da piccolo addobbavano le mie scansie di giocattoli e vedere il mondo da una cabina gialla a 4 metri d’altezza, mentre ruote di due metri e mezzo ti spingono su distese infinite dove in un giorno di nuvole bianche non capisci più dove finisce il cielo ed inizia la terra cosparsa di sale. Brutto invece risparmiare 4 euro e dormire senza aria condizionata sotto un tetto di lamiera, mangiare ghiaccio tutta la notte per rinfrescarsi e poi vomitare il giorno dopo in strada per un intossicazione.
Poi verso sud ancora un poco, ed il Sud è il primo amo
re che mi avrebbe ammaliato e trascinato sino all’Argentina se non fosse intervenuto l’amore per una donna, per un paese e per i ritorni sui propri passi.. questi amori mi hanno fatto impazzire la bussola ma hanno creato un uomo più libero dalle mete geografiche, ed un viaggiatore più attento. Eppure so ancora che è a Sud che presto andrò per esplorare il resto del continente.
Siamo finiti in una antica Missione Gesuita a San Javier, 39 km di straduzze attorcigliate con la Sierra che terminano in questo villaggio al quale hanno portato la luce elettrica solo pochi anni fa. La vecchia missione gesuita impera su un orizzonte a pecorelle chiuso in una morsa di montagne brulle ed aride. Ho salutato nelle prime luci della mattina un Ulivo di 400 anni e siamo ripartiti per ritornare a La Paz dove amici, compagni di passione per la foto e la natura, ci hanno ospitato. Greenpeace ha vinto, la terra, in uno dei suoi lembi, è salva. Ma un nuovo presidente ha vinto le elezioni riportando il Messico ai tempi della dittatura camuffata da democrazia e forse questa terra sarà di nuovo uno scalpo da consegnare agli investitori in nome di un falso progresso. Olga ha vissuto in pieno il viaggio, ha guadagnato più coscienza per questo bizzarro stile di vita, nel suo bilancio degli ultimi mesi ha perso il padre ma ha rafforzato l’amore per la madre terra, ha capito cos’è vivere e viaggiare e sa che dovrà impegnarsi per permetterselo. La Guzzi, detta il Ferro, ha compiuto i 120 mila, è una signora di rispettabile età, senza il fulgore dei motori tedeschi degli ultimi anni ma con la perseveranza e la saggezza della vecchia guardia, un incrocio tra un mulo ed un cavallo di razza che come sempre accetta la nobiltà di viaggiare costi quel che costi: pietre, calore, sovraccarico e benzina da pochi ottani. Il toporso, seppur in terribile carenza di spazio, ci segue legato sopra la borsa dell’attrezzatura fotografica. E’ la vedetta che avvista i pericoli e ci guida seguendo il profumo dell’Avventura.
Un altro pezzo di Lungo Cammino è pronto per essere riportato a casa.